Quando le macchinine parlano per Matteo

"Perché gioca solo con le macchinine? E perché le mette tutte in fila, con una precisione quasi chirurgica, senza mai farle correre, senza mai coinvolgerci in una gara o in una sfida?" Questa è la domanda che si pone spesso il genitore di Matteo, osservandolo mentre gioca in solitudine. Il gioco, nell’immaginario adulto, è movimento, interazione, fantasia condivisa. È far sfrecciare le macchinine, farle volare in salti impossibili, inventare storie, coinvolgere mamma, papà o altri bambini. Ma Matteo sembra seguire un copione diverso: silenzioso, metodico, ripetitivo.
A prima vista, quel gesto ordinato può sembrare una rinuncia al gioco. Ma la Play Therapy ci invita a guardare più a fondo. In questo approccio, il gioco non è solo divertimento: è linguaggio, è espressione, è narrazione emotiva. Ogni scelta, ogni gesto, ogni silenzio può raccontare qualcosa di profondo. Il bambino, attraverso il gioco, mette in scena il suo mondo interno, le sue emozioni, i suoi bisogni.
E così, disporre le macchinine in fila non è assenza di gioco, ma una forma di comunicazione. È il modo in cui Matteo cerca di dare ordine al caos, di gestire l’ansia, di trovare una direzione in un mondo che gli appare frammentato. La Play Therapy non interpreta, non forza, ma accoglie e osserva. E in quella stanza speciale, dove tutto può essere simbolo, anche una fila di macchinine può parlare.
Durante la sessione di Play Therapy, nella stanza speciale dei giochi, Matteo sceglie spontaneamente di giocare con le macchinine. Le prende una ad una e le dispone con grande attenzione in fila, tutte rivolte nella stessa direzione. Non le fa correre, non le fa scontrare. Le osserva, le sposta leggermente, le riallinea. Il gioco si ripete per gran parte del tempo, in silenzio.
Come terapeuta, osservo questo comportamento senza interpretare e senza interrompere il processo, la seguo come una possibile forma di comunicazione simbolica e inizio ad ipotizzare cosa mette in scena e la sua funzione:
Controllo e regolazione emotiva. Ordinare le macchinine può rappresentare un tentativo di “mettere ordine” dentro di sé. Quando le emozioni sono intense o confuse, il bambino potrebbe trovare conforto in un’attività strutturata e ripetitiva, che gli dà un senso di padronanza.
Gestione dell’ansia. In momenti di stress o insicurezza, creare una sequenza ordinata può servire a calmare l’ansia. È come se dicesse: “Se riesco a mettere ordine qui, forse posso gestire anche ciò che mi spaventa fuori”.
Simbolizzazione del mondo esterno. Le macchinine possono rappresentare persone, situazioni, o eventi. Metterle in fila potrebbe essere un modo per “organizzare” ciò che accade intorno a lui, come se stesse cercando di dare una forma comprensibile al caos.
Sviluppo cognitivo e senso di regole. Questo comportamento può anche riflettere il piacere di scoprire regole, categorie, e sequenze. È una forma di gioco che stimola il pensiero logico e la capacità di classificare.
Bisogno di prevedibilità L’ordine può essere rassicurante. In un mondo che cambia rapidamente, il bambino potrebbe cercare stabilità attraverso rituali e schemi ripetitivi.
Matteo non verbalizza, ma “mette in ordine”. In quel gesto c’è forse un bisogno profondo di organizzare, contenere, dare forma a qualcosa che dentro di lui è confuso o dissonante.
Lo scenario familiare mostra di genitori con stili educativi divergenti. Mamma è più permissiva, tende a proteggere e giustificare. Papà è più rigido, orientato alla disciplina e all’autonomia. Matteo si trova nel mezzo, senza una cornice coerente. Questo può generare confusione, insicurezza, e un senso di frammentazione.
Nel gioco, Matteo non esprime direttamente il conflitto, ma lo mette in scena. Le macchinine in fila potrebbero rappresentare il suo bisogno di coerenza, di regole chiare, di una direzione condivisa. È come se dicesse: “Aiutatemi a capire dove andare. Aiutatemi a mettere ordine.”
Ma potremmo anche vedere questo gesto ripetitivo e preciso come una funzione calmante. È come se dicesse:
“Mettere in fila le macchinine è come mettere in fila i pensieri, le emozioni, le paure. ‘Qui comando io, qui tutto ha un posto’.” “Qui posso decidere io. Qui tutto è chiaro.”
Spunto per il lavoro con i genitori
Durante il colloquio, si può condividere questa osservazione con delicatezza, sottolineando che il gioco di Matteo non è “solo gioco”, ma una forma di linguaggio. Si può proporre ai genitori di riflettere su come le loro differenze educative impattano sul vissuto del bambino, e come una maggiore coerenza possa offrirgli sicurezza.
“Matteo ci sta mostrando, attraverso il gioco, che ha bisogno di una direzione chiara. Non necessariamente identica, ma almeno armonica.”