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Polarità e Puppets nella Gestalt Play Therapy

27 ottobre 2025 318

Nel cuore della Gestalt Play Therapy, i puppets diventano strumenti vivi e potenti per esplorare le polarità interne del bambino. Non si tratta semplicemente di giocattoli, ma di veicoli narrativi che permettono al bambino di dare forma e voce alle parti di sé che spesso restano silenziose, confuse o in conflitto. Ogni puppet può incarnare un’emozione, un desiderio, una paura, un bisogno. Attraverso il gioco, il bambino mette in scena il proprio teatro interno, dove le polarità, come forza e vulnerabilità, rabbia e tenerezza, autonomia e bisogno di vicinanza, si confrontano, dialogano, si riconoscono. Questo processo non è solo espressivo, ma profondamente terapeutico. Il bambino esternalizza ciò che sente, lo osserva, lo manipola, lo fa parlare e nel farlo, inizia a comprendere che quelle parti non sono nemiche, ma voci che meritano ascolto. Il terapeuta, con presenza empatica e curiosità non giudicante, accompagna questo dialogo interno, facilitando l’incontro tra le polarità. Non interpreta, non dirige, ma sostiene il processo di consapevolezza e integrazione, ad esempio quando un puppet dice “Io sono cattivo”, il terapeuta può chiedere: “E cosa sente il tuo corpo quando lo dice? Cosa pensa l’altro puppet di lui?”. Questa postura dialogica, ispirata alla filosofia dell'Io-Tu di Martin Buber, permette al bambino di sentirsi visto nella sua interezza, anche nelle parti che teme o rifiuta. In questo spazio protetto, il bambino può sperimentare ruoli diversi, rielaborare esperienze complesse, dare senso a ciò che prima era solo caos emotivo. Il gioco diventa allora una via di trasformazione, dove il bambino non solo si diverte, ma si scopre, si riconosce, si integra le polarità non sono più tensioni da evitare, ma parti da accogliere e il terapeuta, come testimone attivo, diventa co-regolatore e compagno di viaggio in questo processo evolutivo. Guidata dal modello Oaklander e nutrita la Gestalt Play Therapy con i puppets offre un approccio profondamente umano, relazionale e creativo alla cura dell’infanzia. Un invito a vedere il bambino non come un problema da risolvere, ma come un essere in crescita, capace di trasformare il gioco in consapevolezza, e la consapevolezza in libertà.

Violet Oaklander è stata una figura pionieristica nella psicoterapia infantile, e il suo contributo alla Gestalt Play Therapy ha trasformato radicalmente il modo in cui terapeuti, educatori e genitori comprendono e accompagnano il mondo interno dei bambini. Il suo approccio, noto come modello Oaklander, nasce dalla convinzione che i bambini abbiano bisogno di strumenti espressivi per esplorare e integrare le proprie emozioni, e che il gioco,  in particolare l’uso di materiali creativi come disegni, sabbia, argilla, collage e puppets, sia il linguaggio naturale attraverso cui questo processo può avvenire.

Nel lavoro di Oaklander, i puppets non sono semplici accessori ludici, ma veri e propri mediatori terapeutici. Attraverso di essi, il bambino può dare voce a parti di sé che altrimenti resterebbero inascoltate: la rabbia, la paura, il bisogno di controllo, il desiderio di vicinanza, la vergogna, la forza. Ogni puppet diventa una figura simbolica che rappresenta una polarità interna, e il terapeuta facilita il dialogo tra queste parti, aiutando il bambino a riconoscerle, accoglierle e integrarle.

Oaklander sottolineava che molti bambini arrivano in terapia con una percezione frammentata di sé, spesso influenzata da esperienze traumatiche, relazioni disfunzionali o ambienti poco contenitivi. Il lavoro con le polarità, reso possibile proprio attraverso il gioco simbolico, permette di ricostruire un senso di sé più coeso e autentico. Quando un bambino fa parlare un puppet arrabbiato e uno triste, sta in realtà esplorando le proprie emozioni in modo sicuro e protetto. Il terapeuta, con una postura fenomenologica e non interpretativa, accompagna questo processo con domande aperte, riflessioni empatiche e una presenza regolante.

Il modello Oaklander si fonda su alcuni principi chiave della Gestalt: il contatto autentico, la consapevolezza fenomenologica, la responsabilità personale e l’integrazione delle parti del sé, ma ciò che rende il suo approccio unico è la capacità di tradurre questi principi in pratiche concrete, accessibili e profondamente umane. Il puppet che dice “Io sono cattivo” non viene corretto o censurato, ma ascoltato e nel dialogo con un altro puppet che dice “Io ti voglio bene”, il bambino può iniziare a trasformare la propria narrazione interna.

Violet Oaklander ha dedicato la sua vita a formare terapeuti in tutto il mondo, sostenendo che il lavoro con i bambini richiede creatività, autenticità e una profonda fiducia nella capacità evolutiva del gioco. Il suo libro Windows to Our Children è ancora oggi una pietra miliare per chi lavora in ambito clinico con l’infanzia, e il suo lascito continua a ispirare pratiche terapeutiche che mettono al centro la relazione, la presenza e la possibilità di guarigione attraverso l’espressione simbolica.

Nel gioco con i puppets, il bambino non solo si diverte, si racconta, si ascolta, si trasforma. Le polarità che lo abitano, spesso confuse, silenziose, agite, trovano finalmente voce, forma, possibilità di incontro. Il terapeuta, con presenza empatica e sguardo fenomenologico, non cerca di correggere o spiegare, ma di accompagnare. In questo spazio relazionale, il bambino può sperimentare che anche le parti “scomode” di sé meritano ascolto, che il conflitto interno può diventare dialogo, e che l’integrazione non è una meta da raggiungere, ma un processo da vivere. Il modello Oaklander ci ricorda che il gioco non è evasione, ma verità incarnata, una via evolutiva, creativa e profondamente umana verso la consapevolezza.

 

Pierluigi Ceccalupo

Psicologo e Psicoteraapeuta

 

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